Entrevista com Alonso
Fernando Alonso: «Sono un leone
in gabbia ma so che tornerò campione»
Duecentonovantasette
giorni dopo aver incassato la notizia che la Ferrari l’aveva scaricato (fu
Christian Horner, il 3 ottobre a Suzuka, a spiegarglielo indirettamente con
l’annuncio che Sebastian Vettel avrebbe lasciato la Red Bull per il Cavallino)
e 75 dopo il rocambolesco incidente su questo stesso circuito, un crash che
stava costandogli caro più per gli equivoci nella fase di soccorso che per il
cozzo in sé, Fernando Alonso è un pilota che vuole mettere a fuoco il futuro.
Il presente e il recente passato? Alle spalle. E quel fastidioso orzaiolo che
lo tormenta nella vigilia del Gp di casa non gli impedisce di guardare avanti:
«Tornerò campione con la McLaren: sono una persona felice, disposta ad
aspettare».
Nell’attesa,
e per creare una sintonia magica tra se stesso, la squadra di oggi e quella del
passato che a sua volta era motorizzata Honda, Nando ha provato la McLaren che
fu di Ayrton Senna. Otto giri per agganciarsi a ricordi vissuti da bambino («Il
primo kart che mi regalò papà imitava la macchina di Ayrton»), per apprezzare
quanto fosse faticoso guidare quelle monoposto e per calarsi in una leggenda
che forse tornerà. Quella McLaren era un’auto dominante; quella di oggi è una
specie di laboratorio: «Ma siamo un team in crescita. Siamo un gruppo di
giovani che prima o poi diventerà adulto».
Jarno
Trulli, suo ex compagno alla Renault, dice che lei potrebbe non rivincere più
nemmeno una gara.
«Tanti
dei 22 piloti oggi in pista sono nella medesima situazione. E molti di loro,
forse, non sperimenteranno mai il successo. Io sono stato fortunato ad avere
auto competitive. Ora sono parte di un progetto basato su persone risolute a
raggiungere il vertice. Se si vincerà, ci si congratulerà a vicenda; se si
perderà, si lavorerà in modo ancora più duro per la volta successiva: questo è
quello che mi è mancato negli ultimi anni».
A
febbraio, qui a Barcellona, l’incidente: se ha conosciuto la paura, quale volto
ha?
«Non
ho avuto paura. Ma qualche volta la F1 ti ricorda quanto l’automobilismo sia
pericoloso. È stata una tempesta perfetta: impatto sfortunato, sulla pista di
casa, con un recupero laborioso. Infine pure l’incidente, “esteticamente”
strano perché l’auto era intatta, si è prestato alle speculazioni».
Che
cosa ha provato quando si diceva di tutto sulla sua salute?
«Non
ci ho fatto caso e ho pensato che fosse quasi normale che se ne parlasse».
Tornare
alla McLaren è stata una prova d’orgoglio verso Ron Dennis dopo il turbolento
divorzio alla fine del 2007?
«No,
sono tornato per trovare nuove motivazioni. Alla Ferrari lo scenario era
diventato un po’ triste e poi c’era la pressione di quando sei un pilota del
Cavallino: anche se avevo il triplo di punti dei compagni, pareva che la
mancanza di prestazione fosse sempre sulle mie spalle».
Come
si vive passando dalla speranza di vincere un Mondiale a quella di far
progredire una monoposto?
«Si
vive gustando ogni giorno che passa. Cerco di divertirmi, faccio di tutto per
cambiare la situazione: c’è attesa nei confronti della rinnovata partnership
tra la McLaren e la Honda. Siamo partiti dal fondo, stiamo scalando una
montagna e lo stiamo facendo in maniera più veloce di quanto tanti
immaginavano. Sono orgoglioso».
C’è
modo di mantenere lo «spirito da corsa» quando non si riesce a primeggiare?
«Serve
un approccio diverso. Lo paragono a quello di un test: devo essere attento ai
dettagli e soprattutto devo puntare a finire le gare. È come se fossi in
gabbia: ma quando l’auto sarà finalmente competitiva, la porta si aprirà e il
leone uscirà. Sì, io un leone lo sono ancora».
Non
le sembra di essere entrato nella macchina del tempo e di essere tornato ai
giorni nei quali era giovane ed era in team di basso profilo?
«Allora
non avevo l’esperienza per spiegare alla squadra cosa servisse: compensavo con
la velocità e con l’aggressività. Ora conosco il mestiere e so dialogare con i
tecnici».
Luca
di Montezemolo ha detto: «Alonso era diventato cupo e senza fiducia». È vero?
«Ero
così cupo e negativo che volevano tenermi fino al 2019...».
Quando
la McLaren sarà pronta a vincere, Alonso sarà diventato anziano e sarà qualcun
altro a sfruttare il suo lavoro.
«Nessuno
ha la sfera di cristallo: quando sei nelle condizioni di arrivare primo, puoi
essere campione in una, due o più stagioni. Vincerò tra quattro anni? Se avessi
la garanzia, firmerei subito e attenderei. Per ora devo solo lavorare sodo. E
se la domanda è perché ho deciso di lasciare la Ferrari, rispondo sempre allo
stesso modo: non avevo la certezza che avrei completato la mia sfida nei due
anni di estensione del contratto che mi erano stati proposti. Questa alla
McLaren, invece, è un’avventura piena di prospettive».
C’è
qualcosa che non rifarebbe alla Ferrari?
«Probabilmente
rifarei tutto».
Che
cosa le resterà, per il resto della vita, dell’esperienza a Maranello?
«Il
senso di aver guidato per una scuderia speciale e il rapporto con le persone
della squadra. Nel 2010 ho sperimentato un’amicizia straordinaria con tutti: la
cultura spagnola e quella italiana sono vicine, mi sono sentito a casa. Se
avessimo conquistato almeno un Mondiale, sarebbe cambiata la storia. Ma questo
è ormai il passato».
Quando
restituirà il doppiaggio a Vettel?
«Quando
mi ha doppiato, Sebastian? Ah, in Cina...».
Una
risposta, però, c’è. Con il corpo: ha fatto spallucce.
(fonte: http://www.corriere.it/)
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Boa entrevista como sempre! É, claro, isso dentre as coisas que o Google Tradutor me possibilitou entender! Gosto de suas entrevistas porque ele o que pensa, sem medo...
Sobre os comentários do Montezemolo, Alonso encerrou de vez a discussão, e rejeição nunca é bem aceita!!
E sobre a Ferrari hoje "culpá-lo"... hehehe Eu tenho vontade de dizer ao Fernando: "E você se surpreende com isso, meu bem?!".
O que eu quero agora é a entrevista que ele deu a TV espanhola... aguardo ansiosa!
Bjuss, Tati
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